Il termine di arte concettuale, scrive Maria Sicco, è stato usato per la prima volta da Sol Lewitt nel 1967 nel suo Paragraphs on conceptual art, in Art-forum (New York). Nel 1961 Henry Flynt aveva usato l'espressione concept art per i saggi pubblicati poi in Anthology (1963), lavori in cui ricorreva a concetti linguistici e matematici. Il gruppo Art and language ha ripubblicato i suoi interventi storici nel volume di questo titolo edito a Londra e a Berlino nel 1974. In quanto analisi sul linguaggio dell'arte (condotta sotto l'influenza di filosofi del linguaggio come Wittgenstein e Moore), questi lavori sono essi stessi arte, poichè, secondo la c. a., l'arte studia appunto il rapporto educativo dell'arte stessa.

 

Nel contesto dell'arte contemporanea, Joseph Kosuth, verso la metà degli anni sessanta definisce,  l'arte concettuale .

Un'arte fondata sul pensiero e non più su un equivoco piacere estetico.

 

Realizzando nel 1965 l’opera Una e tre sedie che comprendeva una vera sedia, una sua riproduzione fotografica e la parola "sedia", per cui al centro compare l'oggetto fisico, accanto a una sua fotografia a grandezza naturale e alla definizione del dizionario. Quindi: essenza, immagine e linguaggio, ovvero tre diversi modi di definire la realtà che vengono confrontati e accostati.

dice: .... nella speranza che le seguenti immagini non fuorviino il lettore ad un'interpretazione artistica di natura estetico-morfologica; ....."Come artista ho riscontrato che tutte le forme che utilizzo mi contraddicono; 'vedere/comprendere' l'arte è consistito, in certa parte, nella tensione tra il mio significato/uso di forme e il loro dato significato/uso sociale e culturale. Si può tentare di 'vedere l'arte' evitando la trappola formalista?" quale tentativo di deoggettivazione dell'oggetto e di indicazione del percorso concettualista dalla concreta materia alla sua immagine (mentale?) sino alla pura concettualizzazione astratta”

 

Ermanno Migliorini nel saggio 'Conceptual Art' in chiave storico-artistica vede il recupero del ready-made duchampiano nella sedia reale, l'introduzione nel contesto artistico della fotografia del ready-made stesso (in passato fonte documentaria dell'operazione artistica su cataloghi di mostre e riviste d'arte) e definitivo abbandono dell'oggetto in funzione della rarefatta noumenicità di una definizione decontestualizzata.

Successivamente con l'utilizzo del neon da parte di Kosuth, si è rappresentata una costante 'materiale' sino ai suoi più recenti interventi artistici. Ormai siamo ad uno degli esempi più emblematici dell'arte tautologica: il linguaggio definisce circolarmente l'opera con lampante chiarezza e rigore logico, informando lo spettatore sull’oggetto e gli effetti della sua osservazione. Nulla più se non una proposizione autoevidente, indicante trasparentemente il significato dell'installazione al di là dei generi artistici, delle considerazioni estetiche, delle interpretazioni soggettive, per arrivare - questa volta nel più totale isolamento - alla definizione trascinata fuori del suo contesto proprio (il dizionario), mostrata in negativo in un ingrandimento fotostatico acromatico.

È lo scardinamento linguistico dell'arte che costringe a riflettere sulla legittimità della presenza di una pura e semplice definizione, priva di qualsivoglia attributo di interesse formale - in definitiva, su natura e funzione dell'arte stessa, sul suo concetto e sulla necessità di una sua demistificazione e allargamento.
”Che poi Kosuth si serva della definizione di acqua - poichè priva di forma e colore, dunque oggetto evanescente - o di quella di nulla, bianco e nero, arte, idea e quant altro non ha alcuna rilevanza: le definizioni kosuthiane si configurano infatti in termini esclusivamente mentali, come indagini teorico-filosofiche relative all'arte - Art as idea as idea, come recita il sottotitolo comune a tutte queste opere.

(fonte http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/Kosuth/)

 

Relativamente alla "pittura", l'arte concettuale ha perduto l’originalità del suo “concetto” percorrendo strade artistiche (e non) non pertinenziali alla pittura stessa.

 

Si rifletta all’uso successivo che se ne farà nella fotografia, nel teatro e nella filosofia.

 

Mi fermo qui nel percorso artistico di ricerca effettuato da Kosuth perchè il suo approfondimento mi porterebbe non solo a ripercorrere storicamente gli sviluppi dell’arte concettuale, qui brevemente concettualmente accennata,  intendendo, invece, riprendere il concetto stesso di nuova arte così (giustamente ?) definita.

Se è valido l’assunto di fondare un’arte “sul pensiero e non più su un ormai frainteso ed equivoco piacere estetico”  occorre, dunque, che essa si manifesti soprattutto materialmente. Ovvero che il pensiero possa essere rappresentato (nel mio caso nella pittura) al di là degli estetismi formali della riproduzione fine a se stessa fino ad essere significante nella sua essenziale concettualità.

Ritengo che questa linea debba essere ancora tracciata in qualità di nuovo pensiero artistico.

Se è valido l’assunto di fondare una “nuova arte”  occorre, dunque, che essa si manifesti soprattutto materialmente come tale. Nel senso che il pensiero possa e/o non debba essere rappresentato in termini pittorici al di là degli estetismi formali della riproduzione fine a se stessa fino ad essere significante nella sua essenziale concettualità.

L’equivoco piacere estetico ha portato di fatto a rappresentazioni non razionali fino alla sgradevolezza illusionistica della sua rappresentazione.

Il piacere estetico è invece una regola educativa della forma che può portare ad intuizioni profetiche: bisogna entrare nel merito sulle contraddizioni di Sol Lewitt rispetto al costrutto di Kosuth e degli sviluppi dell’arte concettuale dagli anni 70 in poi.

Ritengo che questa linea anche se appena tracciata debba, in qualità di nuovo pensiero artistico, essere percorsa e sviluppata.

Lewitt con le sue “sentence” e soprattutto con il suo lavoro ha senz’altro il merito di aver svincolato la produzione dell’arte dal raggruppismo di maniera tipica dell’800 che ancora oggi si riscontra, negli studi, nei cosiddetti laboratori, negli studi d’arte fotografica, nelle scuole, nelle gallerie: l’arte era così diventata vedutismo, ritrattismo, impressionismo, espressionismo ecc., esercizio estetico fino alla forzatura stessa dei materiali utilizzati.

Individuare un racconto, una storia, in una opera d’arte ormai era ed è diventato rarità. Soltanto i regimi bisognosi di affermazione hanno necessitato e necessitano di narranti produzioni retoriche.

Ma la nuova arte, concettuale, perché rappresentazione del pensiero e a volte della sintesi del pensiero stesso non si è sviluppata in quanto indotta a percorrere strade sperimentali fuorvianti la continuità storica a cui doveva agganciarsi.

L’arte dopo la filosofia (Kosuth) ne era il presupposto ma anche l’antefatto.

Soltanto alcuni ne hanno raccolto istintivamente il segnale: Manzoni, De Dominicis……

E poi ?

Di nuovo smarrimento ! Gli stessi Ventroni, Giancola, AcKrill, Muscio, Avataneo, e quanti altri fino ad Albion, Ferri, Normanno che riprendono, nei ripensamenti di De Dominicis, il tecnicismo classico risultando quantomeno leggibili al primo impatto.

Perché di fatto l’arte pittorica deve essere questo: un documento facilmente leggibile al primo impatto. E gradevole, di facile approccio sia pur potendo turbare o emozionare per la forza delle immagini espresse.

Come conciliare, dunque, un approccio facile, all’arte concettuale, o meglio alla nuova arte concettuale ?

Faccio un esempio: la fuga in Egitto del Caravaggio racconta di una storia della quale si conosce il passato, si conosce il futuro e ne viene rappresentato il presente come un vero e proprio episodio.

Oggi chi è in grado di raccontare affinchè chi osserva possa “leggere” un prima, un dopo, e il presente?

Ecco che sopraggiunge la "nuova" arte concettuale: non si ha più bisogno di raccontare ma di esprimere concetti e per fare, anche qui, un esempio: come rappresentare e far leggere concetti e sintesi quali “la servitù prediale”, “l’abigeato”, il concetto economico di “mercato” fino alle formule matematiche, le equazioni, le formule chimiche e quant’altro.